mercoledì 1 maggio 2013

UNA DOMANDA IMPORTANTE: "COME STO?"

Eccoci dunque a parlare di domande, perchè porle è un atto naturale del bilancio delle competenze. In molti questionari di questo tipo troverete: schede, spunti, frasi da completare per stimolare ciò che pensate di voi stessi e del contesto in cui vi trovate; il tutto per indurvi a riflettere, dare nomi alle capacità, riconoscervi. 

Partiamo, oggi, con le seguenti, dure, domande: "Come state nella vostra attuale condizione di ricercatori di lavoro?" "come avete affrontato i cambiamenti in passato?", "e oggi....?". 
Questi quesiti sono a monte del bilancio delle competenze e riguardano il domandare -purtroppo a volte anche doloroso- circa la situazione di disoccupazione che si sta vivendo. Sovente le persone si sentono sole, abbandonate, dimenticate, rifiutate, avvertono uno strascico silezioso di vergogna per la condizione in cui vengono a trovarsi. Oggi, nonostate sia risaputo che la disoccupazione o inoccupazione colpisce milioni di persone, la si vive spesso come dramma privato. Quello che occorrerebbe fare è reagire (se appena è possibile e si riesce, senza sentirisi in colpa se non ce la si fa), perchè la flessibilità del mercato in cui oggi ci troviamo porta ad un continuo entra ed esci dai luoghi lavorativi -a volte più esci che entra, purtroppo- e spesso non dipende dalle nostre capacità lavorative. Questo lo sanno anche le aziende che sono ormai disposte ad assumere persone di tutte le età, perchè consapevoli del fatto che  in giro ci sono persone preparate, competenti e serie alla ricerca di un'occupazione. Vorrei quindi ribadire -per l'ennesima volta- che c'è sempre la possibilità di rientrare nel mondo del lavoro!
Apro una parentesi. Credo che, tra i tanti motivi per cui ci sentiamo spesso spiazzati e feriti dalla nostra situazione di disoccupati, una ragione riguardi il fatto che ci portiamo ancora dietro un sentire che sino a pochi decenni fa dava, alla condizione di essere senza lavoro, un senso di colpa indelebile, come condizione sospetta: uno entrava da giovane andando diretto alla pensione, stabile, nello stesso posto, rimanendo per decenni  nella medesima situazione occupazionale. Se dai vent'anni anni circa di età non avevi un lavoro però erano guai, difatti chi si trovava senza occupazione, e non stava studiando, era guardato con sospetto, apparendo come persona poco seria ed ancor meno affidabile; per dirla con il dialetto delle mie parti "l'era un lavura no!" (identificando con queste parole l'atto del lavorare con la stessa e completa identità della persona). Se poi il lavoro lo si perdeva...non ne parliamo! 
Non doveva essere giusto etichettare le persone allora, dato che le motivazioni di disoccupazione potevano essere molteplici figuriamoci oggi, dove molto spesso la causa può riguardare mille ragioni sulle quali non possiamo agire, vuoi per un mercato che si presenta estremamente labile e flessibile, vuoi perchè magari abbiamo deciso di cambiare vita e dopo un po', quello che stavamo facendo prima, adesso ci va stretto.

Detto questo, credo che analizzare la causa della propria disoccupazione possa servire: per capire se abbiamo superato l'evento e se siamo alla ricerca di lavoro con convinzione; oppure, se stiamo cercando ma non troppo, perchè un occhio lo diamo ancora al nostro vecchio posto di lavoro (magari perchè siamo in cassaitegrazione o il nostro vecchio datore di lavoro ci ha dato qualche flebile speranza di essere riassorbiti); oppure, ancora, perchè non intendiamo cercare altro finchè non troveremo un lavoro uguale a ciò che abbiamo perso. Occorre comprendere in che fase siamo e perchè ci stiamo comportando in un modo o nell'altro, più ci sarà chiaro più avremo idea di qual'è la nostra convinzione ad agire. Le motivazioni poco fa addotte sono tutte apparentemente valide e plausibili, anche se a volte nascondo insidiosi "autoinganni" che vogliono far restare le cose come sono, negando la realtà dei fatti. Inoltre, occorrerà ricordarsi che cambiare lavoro può far emergere paure legate al cambiamento, alcune possono essere reali mentre altre risultare enfatizzate dalla percezione del momento, poichè pongono possibili modifiche dell'immagine che abbiamo di noi, della nostra idea di storia famigliare (soprattutto in rapporto con chi ci ha preceduti), delle nostre abitudini che, come dice la parola stessa, sono abiti che indossiamo quotidianamente e smetterli, da un giorno con l'altro, è parecchio dura.
Per riflettere sul momento di separazione dal lavoro occorrerà ricordarsi, tenendo la barra dritta, che oggi è oggi, e che ci sono logiche differenti rispetto al prima, uniche. Del passato, nell'analisi della nostra situazione attuale, dovremo però tenere conto del fatto che se abbiamo superato delle difficoltà, queste potrebbero esserci utili per capire che equipaggiamento abbiamo per fronteggiare le problematiche attuali perchè, scoprendo le strategie che abbiamo messo in campo tempo fa, potremo trovare suggerimenti per delle possibili attuali soluzioni. Oggi è oggi, dicevamo, però noi abbiamo strumenti coltivati dalla nostra esperienza pronti all'uso. Allora, potrebbe essere utile domandarsi: "come ho risolto quella volta il problema?","c'erano delle analogie con oggi?"; "quali?"."sono ripetibili?". Potrebbe venir fuori, per esempio, sempre in riferimento alla ricerca di lavoro, che quella volta avevamo messo in campo un certo tipo di tenacia, delle conoscenze amiche utili per proporci e tanto e instancabile passaparola...

Come potete vedere, l'argomento "cambiamento" è, qui, appena accennato, ma ci torneremo perchè è importantissimo e non va trascurato. Jung diceva più o meno queste parole (lui, riferendosi al  tipo di psicoanalisi che voleva adottare in rapporto all'inconscio; noi, solo al fatto che occorre ragionare sulla nostra condizione, come abbiamo affrontato le difficoltà e, sopratutto, come le abbiamo superate): "per far crescere il nostro albero forte e rigoglioso verso il cielo dobbiamo far sprofondare le nostre radici fino all''inferno" Un po' drastico, forse, però rende l'idea. 
A presto!

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