venerdì 26 maggio 2017

LA VOCAZIONE

"LA STRADA CHE NON PRESI
Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.
Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’ aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.
Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.
Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io -
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza"

Robert Frost (1916)

Nell'immaginario comune la vocazione viene spesso accostata alla chiamata che avverte il religioso nei confronti del proprio credo ma, nel senso con cui affronto questo tema con il coaching umanistico, va letta in modo più allargato, cioè intendendola come quella disposizione interiore che fa sentire la persona attratta da un certo ambito, ed è motivata intrinsecamente ad intraprendere una strada professionale e/o personale, gratificata già per il solo fatto di percorrerla con impegno e dedizione.
Tutti abbiamo visto all'opera musicisti che amavano così tanto quello che facevano, da affascinare chi li stava osservando e ascoltando. Ma anche baristi che divertono -e si divertono- nel lavorare a contatto con gli avventori; avvocati che, non appena smettono di districarsi tra norme e codici, corrono a coltivare un orto; operai di produzione dediti alla scrittura di racconti. E ancora, manager, liberi professionisti, volontari, allenatori, parroci, artisti, sportivi, suore, educatori, papà, mamme, giornalisti, scrittori, insegnanti, magazzinieri, tutte persone che possiamo aver osservato godere del loro lavoro, del loro vivere la famiglia o i loro hobbies, al punto di dimenticarsi di se stessi, immergendosi totalmente in ciò che fanno.  
Potrei andare avanti per ore a raccontare di chi ho incontrato in questi anni che ha manifestato un coinvolgimento profondo per ciò che fa, svelando così la propria vocazione  intima messa in opera. La storia è maestra di persone che l’hanno scoperta e realizzata, chi da giovanissimo chi più in là con gli anni.

Scoprirla è un passo importante per individuare possibili fonti del talento e allenarlo (come insegnano i percorsi di coaching umanistico, il talento non è una disposizione innata, ma una capacità che è possibile sviluppare nel tempo, grazie all'allenamento), credo che per svolgere una buona attività di orientamento -sia per i giovani, che persone adulte- occorrerà allora domandarsi quale sia la vocazione sottostante.
Nella psicologia positiva si parla di: autosuperamento e autodeterminazione come aspetti importanti per la nostra autorealizzazione; di esperienze di flow (flusso), come momenti nei quali lavoriamo con piacere e determinazione -perdendo il senso del tempo e dello spazio, un po’ come fanno i bambini quando sono immersi nei loro giochi-; di potenzialità, come muscoli del nostro carattere. 
Con il coaching umanistico, su queste basi, possiamo pensare che sarà utile scoprire ciò che ci attrae e stimola, per percorrere territori gratificanti e che, questi, potranno non solo essere scoperti, ma anche zone su cui edificare. Esistono aree vocazionali (macro aree) nelle quali troveremo pressoché tutte le professioni e attività, quindi, se potremo inquadrarle trovando ciò che stimola, piace e gratifica avremo fatto un passo nella direzione utile all’attivazione. Il resto sarà fatto di analisi e allenamento delle potenzialità, del chiarimento del senso, dello scopo e del significato delle nostre azioni, delle analisi dei paradigmi sottostanti, degli obiettivi e piani di azione finalizzati a raggiungere la metà. Sarò un grande lavoro!

Sei pronto per scoprire la tua vocazione? 

Per approfondire il tema della vocazione consiglio di leggere l'articolo di  Luca Stanchieri nel suo sito, che trovo illuminante:
http://www.lucastanchieri.it/la-vocazione.html

domenica 21 maggio 2017

QUANDO TI DICONO CHE AIUTARE LE PERSONE A CERCARE LAVORO É UN'ATTIVITÀ INUTILE

Chi si occupa di orientamento, di tanto in tanto,  si sente dire che il suo lavoro non serve. Per questo propongo un'ipotetica lettera di risposta ai detrattori, ad esempio: a chi dice che cercare lavoro non è un lavoro, che sono solo parole quelle che proponi invece di aiutare, che la gente sa cercarsi un lavoro o che non c'è bisogno di te, eccetera.   Che tu sia orientantore, counselor, coach o formatore qui sei il benvenuto, guarda se ti ci ritrovi e, nel caso ti servisse, copia e incolla pure.
ULtima cosa. 
Devo essere sincero, è da un po' che non mi capita, prima sul blog o tramite linkedin me ne dicevano di ogni: probabilmente devo aver perso lo smalto, forse non sono più quello di una volta... ;-) 


"Gentile, e' evidente che, da quanto scrive, lei ha diretta e profonda conoscenza del mercato del lavoro, in particolare sa:
- quali sono i canali per cercare lavoro che funzionano e quali no -livello statistico ovviamente (e non parlo in generale, ma per ambiti di ricerca: come saprà bene, ciò che funziona per il commesso non va sempre altrettanto bene per l'informatico, e così via)-;
- della contrattualistica, in modo da poter ragionare con chi andrà a fare dei colloqui e sia informato su eventuali proposte e capendo magari fare controproposte;
- dei finanziamenti e/o progetti utili a sgravare tasse alle aziende in caso di assunzione o rimborsi per eventuali tirocini (ma non in generale: per età, sesso, situazione personale, svantaggio ecc.). Saprà bene, infatti, quanto queste misure possono incrementare le possibilità di assunzione;
- per ambito, quali siti sono efficaci per cercare e quali no;
- come occorre approcciare alle agenzie e alle aziende . Ovviamente, diamolo per scontato, le prime hanno azioni e filosofie differenti dalle seconde: bisogna saperne le caratteristiche per poi agire di conseguenza;
- quali competenze servono per costruire un progetto professionale specifico, e come quali di queste e altre potranno essere utili per costruire differenti progetti professionali come piano b, c, d, eccetera;
- come compilare bene un cv e una lettera di presentazione (di motivazione), tenendo presente che spesso sono ben altre le cose che funzionano: ma che questi strumenti comunque servono sempre;
- come sviluppare un rete di relazioni che porteranno alla ricollocazione;
- come, eventualmente, pianificare e realizzare un'attività autonoma;
- quali settori sono alla ricerca di profili e di quali necessità e bisogni ci sono in una determinata zona (compresi i bisogni formativi);
- come reagire alla sensazione di inefficacia e demotivazione, che spesso viene a colpire chi cerca.

Ecco. 
Se, come immagino, lei sa già tutte queste cose non ne avrà bisogno....ma... ha riflettuto che ci sono centinaia di migliaia di persone che queste cose non le conoscono e hanno bisogno di aiuto?
Cordialità".

martedì 16 maggio 2017

VITALITÀ: SVILUPPARE OPPORTUNITÀ FACENDO TUTT'ALTRO

"Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?".
Cesare Pavese

Ci sono tanti modi di cercare: rispondendo agli annunci, andando di persona in azienda, nelle agenzie o in giro per la città,  costruendo relazioni, imbastendo dialoghi su Linkedin o Fb. E molto altro.
Ma dopo un po' che facciamo queste cose può finire la benzina, la voglia di fare. Ed è normale, sopratutto se non si ottengono risposte o le si raggiunge in modo parziale senza poi avere -alla fine- ciò per cui ci stiamo attivando così tanto: assunzione o nuove opportunità. Dopo un po' che proviamo senza risultati, oltre ai problemini che ho già trattato -fare le stesse cose, non cercare di differenziare la propria ricerca, non pensare ai desideri eccetera, eccetera, eccetera- si perde l'entusiasmo (se mai ce n'era prima) e ci si passivizza, viaggiando per inerzia da un sito ad un altro, da una risposta ad un'attesa, come sospesi in un limbo: dove pensiamo che la gratificazione arriverà quando troveremo e, fino ad allora, dovremo tirare la cinghia. Ma è giusto fermare la giostra di emozioni positive, di piaceri, posticipando? E' giusto pensare che le soddisfazioni personali sono altro dalla nostra ricerca o, che quando cerchiamo, si riducono allo spazio lavorativo?
Credo proprio di no, perché se smettiamo di gratificarci possiamo perdere, tra le tante cose, anche la forza necessaria utile a proattivarci. Dobbiamo quindi allenare la nostra Vitalità. 
Nell'ottica umanista la vitalità è la "sensazione di amore per la vita, energia fisica e psichica, che si trasmette nelle attività e nelle relazioni anche nei momenti più difficili dell’esistenza (Stanchieri 2008). E' Correlata alla positività, al fare piacevole, al realizzare per realizzarsi che da energia. Guardiamo alla gioia dei bambini quando fanno qualcosa che li appaga, quanta felicità, quanta vitalità nei loro gesti, nello stare assieme, nel fare. Stacchiamo la spina un attimo dalla nostra ricerca, e chiediamo a noi stessi: cosa ci piace fare? cosa ci rende felici? Cosa ci appaga? Perché non sono in antitesi con la nostra disoccupazione, con il nostro orientamento? 
Essere gratificati non vuol dire non fare fatica -cioè trovare qualcosa che dia solo piacere e basta- ma che c'è un qualcosa che perseguiamo con dedizione, perché ne traiamo una qualche forma di piacere, di felicità anche attraverso rinunce e fatiche (ad esempio: allenarsi per partecipare ad una maratona non sarà semplice e senza tribolazioni, però chi è mosso da questo tipo di gratificazioni troverà degli elementi appaganti: a partire dall'allenamento fino al traguardo della corsa vera e propria. Questo vale per lo studio, nell'organizzare viaggi, allenarsi, suonare, cucinare, fare bricolage, coltivare un orto e così via).
Ecco. Quello che voglio proporre è che prenderci cura di noi, pensare a cosa ci gratifica, partendo dagli hobbies per arrivare allo sport, prendere un caffè e riflettere, andare al cinema, leggere, giocare, fare yoga, qualunque attività che ci faccia sentire vivi e stimolati sarà importante anche per la nostra ricerca. A patto che sia sentita da noi come gratificante e che poi ci attivi (perché se non attiva, alla ricerca di opportunità non serve molto!). 
Queste azioni potranno dare forza, sopratutto se stimoleranno anche il nostro "saper fare" perché, se c'è una cosa che può essere gratificante e al contempo di stimolo, è la capacità di autorealizzarsi cioè di sentire che con le nostre "mani" (anche metaforicamente) realizziamo un qualcosa. Senza contare che attivandoci spesso si creano relazioni: sai quante persone trovano lavoro parlando in palestra, in spiaggia, condividendo un Hobbies ecc.?)
La vitalità è la quarta potenzialità che esprime concretamente la virtù del coraggio, e mi viene da accostarla a quella che viene definita una potenzialità di base, cioè, alla cura di sé. Come la intendeva Foucault, ovvero: "La cura di sé deve aiutare gli uomini a sanarsi dei loro vizi e difetti divenendo una sorta di strumento complementare dell'arte medica che persegue lo stesso fine della guarigione non solo dei mali fisici ma anche di quelli spirituali"<1>, va intesa -nel nostro approccio alla ricerca di lavoro- come un allenare la vitalità per prenderci cura di noi, per diventare più propositivi, stimolati, in una parola felici. Da qui a ricaduta nel nostro proattivarci nella ricerca.
Sembrerà banale ribadirlo, ma sarà importantissimo non dimenticare noi stessi, altrimenti potremmo privarci della possibilità di attingere a quella forza di base di cui necessitiamo nei momenti di difficoltà, come può essere la ricerca di lavoro. Essere vitali sarà dunque generativo e, facendo, costruiremo cose fuori e dentro di noi.
Cosa ti gratifica? Cosa ti ritempra? Scoprirlo potrà produrre vitalità prima di trovare, durante il lavoro...dopo....


<1> M. Foucault, L'ermeneutica del soggetto, cit., I Lezione del 20.01.1982 pp. 88-91 e cap. II.3 de La cura di sé, cit., pp 57-61.

giovedì 4 maggio 2017

TRA MURAKAMI E MESSNER: LA PERSISTENZA DI CHI CERCA


La filosofia non è la costruzione di un sistema, ma la ferma decisione di guardare ingenuamente in sé e intorno a sé.
Henri Bergson

...dicevamo la maratona...

Murakami nel libro "l'arte di correre"<1>  scrive, con il talento che lo contraddistingue, quanto sia stata importante per lui la corsa: attività che praticamente è coincisa con la decisione di diventare scrittore, cioè dopo aver abbondantemente superato i trent'anni. Egli trova delle analogie tra il correre e lo scrivere romanzi, inoltre, sostiene che l'allenamento fisico cui si sottopone è stato necessario per la propria tenuta psicofisica, contribuendo in modo decisivo all'elaborazione dei suoi scritti.

Ne "l'arte di correre", c'è un elemento che trovo essenziale per chi cerca lavoro: la persistenza. Un maratoneta lavora tutti i giorni, dosa le energie, spingendole poi al limite per scoprire che, in realtà, ha risorse nascoste pronte a sorprenderlo. Il maratoneta sa che dopo tanti chilometri percorsi deve ragionare tre passi per volta, con la consapevolezza che dovrà fare altrettanta strada -dicono che dopo il trentacinquesimo chilometro sia un calvario, "dicono" -gli altri- perché ad oggi, io, arriverò a 5/6 scarsi...ma ci arriverò, mi sto allenando... :-) -.
Chi cerca lavoro deve avere presente un progetto a lungo termine, sapendo che ci saranno difficoltà lungo nel tragitto, e che le variabili incontrate potranno far tentennare, a volte, fino a far desistere.
La persistenza è la terza potenzialità che troviamo all'interno della virtù del coraggio (si vedano i post precedenti, sia per i contenuti che per la bibliografia) e viene definita quella che "(...) permette la continuazione volontaria, consapevole e prolungata di un'azione progettuale rivolta ad uno scopo preciso nonostante ostacoli e difficoltà che si incontrano nel realizzarla" (Stanchieri 2008).
La persistenza si contraddistingue dal fatto che è voluta, scelta, ed è spesso influenzata da come si percepisce la propria capacità di influire sulla realtà (ovvero, sulla propria autoefficacia).
Se mi rendo conto di avere potere sul contesto agisco o, quanto meno, resisto maggiormente. Forse, questo spiega la moltitudine di persone che mollano facilmente la propria ricerca di lavoro dopo alcuni fallimenti: perché si sentono impotenti di fronte alla realtà, attribuendole un potere sul quale non si può agire, a un ciò che è "la fuori", come dato e predeterminato,  sul quale poco si può fare. Credo che noi tutti abbiamo la responsabilità di non trasmettere alla future generazioni questo senso, di impotenza, di fatalismo.
Ma poi, è realmente così? Mi ricorda un po' come fa l'equilibrista incerto, che mentre cammina sul filo ripete fra sé e sé "sbaglio, sbaglio, sbaglio" fino a che....

Anche l'arrampicata mi fa pensare a delle analogie con la ricerca.
Reinhold Messner  quando parla della sua vita di scalatore, fa venire in mente parecchie cose.
Nel suo libro "La mia vita al limite" <2> quando parla di una sua arrampicata da giovane, scandisce questi movimenti essenziali (...) presa, passo, movimento" (...), gesti rridotti all'osso che servono per andare avanti, passo passo, guardando poco indietro e determinati ad andare avanti, in alto, fino in cima. E ancora (...) nell’arrampicata la fantasia è molto più importante dei muscoli (..). 
Così la ricerca, è fatta di muscoli, si, ma la vera persistenza dev'essere nella creatività. Fatica cerebrale e di nervi che reggono sulla distanza (naturalmente, la ricerca non deve essere per forza fatica e sudore, ma bisogna tenere la barra dritta, sapendo che verranno momenti difficili).
Lo scalare ha bisogno della consapevolezza di non poter bruciare delle tappe: per arrivare là, devi passare per di qua, o meglio, puoi trovare delle scorciatoie ma dei passaggi obbligati, diciamo essenziali, ci sono, ed il filo conduttore di tutto sono la lungimiranza e la persistenza, per vedere lontano e per tenere duro.

Per allenare la potenzialità della persistenza, nella ricerca di lavoro, potresti:

(Esercizio di approfondimento)
- cercare un settore che interessa, poi la professione al suo interno che affascina. A questo punto raccoglere tutte le informazioni relative ai compiti, alle mansioni, alle attitudini che sono richieste. Poi, dovresti cercare di sapere quali sono le aziende che cercano tali profili. Ancora, quali canali usano per assumere.

(Esercizio pratico).
- Cerca lavori che ti piacciono ma dove credi di non avere competenze. Prova a chiederti se esistono hobbies/lavoretti dove ci sono aspetti pratici che, maturati, potresti rivendere nei lavori individuati (esempi: imparare il giardinaggio, aiutando chi lo fa per piacere; imparare a fare la pizza o servire ai tavoli, affiancando amici alle feste; imparare a verniciare, aiutando amici che hanno bisogno di una mano ad imbiancare). Imponiti di fare questo esercizio finché non avrai dimestichezza con la materia. Anche una cosina imparata avrà tutto il suo valore: ricordi il detto "impara l'arte e mettila sa parte?".

(Esercizio di resistenza).
Scegli un qualcosa che sai fare (bene o male poco importa), anche un sola singola mansione del tuo lavoro.
Scrivi nel dettaglio di cosa si tratta. Cerca, poi, sforzandoti anche quando pensi non ci sia più nient'altro da dire, di trovare modi per migliorare ulteriormente dell'azione. Descrivi minuziosamente ogni singolo gesto. Elaboralo. Ah! Solo in forma scritta, senza metterla in pratica.
Fatto questo, per almeno 30 minuti al giorno per una settimana, fai poi la stessa analisi minuziosa della tua ricerca di opportunità. Qui però poi devi metterla in pratica! :-)


<1> L'arte di correre, di Haruki Murakami, traduzione di Antonitta Pastore, collana Frontiere Einaudi, Torino 2007.

<2> La mia vita al limite, di  Reinhold Messner e Thomas Hüetli, Corbaccio,  Milano 2006.(p.55 e sgg. nella versione kindle)